Una scoperta che getta nuova luce sullo sfruttamento delle scimmie nell’antichità: a Shahr-i Sokta, in Iran, i ricercatori del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento hanno rinvenuto un macaco reso, morto a circa cinque anni di età, sepolto nella necropoli intorno al 2800-2500 a.C. secondo le stesse pratiche funerarie utilizzate nel sito per seppellire i bambini. La notizia dello studio sull’“International Journal of Osteoarchaeology” è stata di recente pubblicata su “Nature Research Hightlights”.
Nel 2017 il Dipartimento di Beni Culturali ha avviato il progetto multidisciplinare MAIPS - Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha per lo studio del sito e dei materiali in corso di scavo da parte della Missione Archeologica Iraniana, che si svolge dal 1997 sotto la direzione scientifica di Seyyed Mansur Seyyed Sajjadi dell’Iranian Center for Archaeological Research e, per la parte italiana, di Enrico Ascalone dell’Università di Göttingen. Finanziato da UniSalento e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il progetto vede impegnati i docenti Giuseppe Ceraudo (Topografia antica), Pier Francesco Fabbri (Antropologia fisica), Girolamo Fiorentino (Archeobotanica) e Claudia Minniti (Archeozoologia), sotto la cui direzione si studiano, appunto, anche i resti animali.
«Shahr-i Sokta è uno dei siti archeologici più estesi del Medio Oriente (oltre 150 ettari), attribuibile alla Cultura di Jiroft e fiorito dalla fine del quarto millennio all’inizio del secondo millennio a.C. sul corso del fiume Helmand», spiega la professoressa Minniti, «L’aspetto importante di questa scoperta è data dal fatto che nessuna specie di primati non umani è originaria dell’Iran, il macaco reso rinvenuto a Shahr-i Sokta si trova fuori il suo areale di distribuzione naturale. Numerosi dati documentano come il sito di Shahr-i Sokta abbia intrattenuto rapporti commerciali e culturali con siti e culture antiche nella valle dell’Indo, sulle coste meridionali del Golfo Persico, il Mare dell’Oman, l’Iran sud-occidentale e Asia centrale. Si può ipotizzare anche per il macaco reso una possibile provenienza dalla valle dell’Indo, attraverso l’attuale territorio dell’Afghanistan. Anche se nessun altro primate non umano abitava nel Vicino Oriente o in Mesopotamia, questi animali erano ben noti nell’antichità: numerose fonti scritte e iconografiche documentano come le scimmie fossero generalmente considerate simboli di prosperità e potere, per il loro carattere esotico (e quindi raro), e come spesso rappresentassero doni di scambio tra reali e membri elitari di diverse culture. Venivano tenuti come animali da compagnia, talvolta raffigurati al guinzaglio e con tratti umani, sovente rappresentati mentre ballano e suonano il flauto».
Claudia Minniti è professoressa associata di Archaeozoologia presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento. Le sue ricerche riguardano lo studio dei resti animali provenienti da contesti archeologici italiani ed esteri di diverso periodo cronologico dal Neolitico all’età medievale, con integrazione di altre discipline (storia, etnografia, zoologia, etologia). Oltre 100 le pubblicazioni tra monografie, atti di congressi e articoli su riviste nazionali e internazionali.